ANIME DA SALVARE

Le televisioni e i giornali ci hanno raccontato in questi giorni del Sudan che affronta il referendum della separazione in due Stati. Chi ha votato sono gli abitanti del Sud, che chiedono l’indipendenza per poter sfruttare le risorse del loro territorio e non essere sottomessi a un Nord che fino ad oggi ha ostacolato lo sviluppo e offeso i diritti umani.

Occorre ricordare, alle nostre menti che dell’Africa fanno sempre un tutt’uno omogeneo, che il Sudan è fra gli Stati più estesi, i cui confini fanno parte di quelle divisioni per linee dritte del continente praticate dal colonialismo. Ma in questa ripartizione, che “taglia” interi popoli creando appartenenze a Stati diversi, ci sono anche accorpamenti che non rispettano le differenze culturali, etniche, religiose. Così, al Nord Sudan di popolazione prevalentemente araba e islamica, corrisponde un Sud di popolazione prevalentemente nera e animista, che ha accolto nel tempo una buona presenza cristiana.

Queste due “anime” hanno convissuto e si sono poi scontrate con una di quelle “guerre dimenticate” che solo la promessa, pochi anni fa, del referendum, ha potuto fermare. I pessimisti dicono che questo appuntamento potrebbe riattizzare lo scontro armato, soprattutto perché nel frattempo il Sud si è scoperto potenzialmente ricco di petrolio.

Ma c’è un’altra evocazione da fare: quella del Darfur. Finché c’era qualche ragione politica nostra interna per farlo diventare “il” problema, l’emergenza umanitaria a cui dedicare perfino dirette televisive dal deserto, ci siamo commossi e inviato SMS per soccorrere gli abitanti di quella regione. Ma oggi che l’emergenza è la stessa, ma ci vergogniamo a scoprire l’approssimazione e l’insufficienza del nostro grande “aiuto”, non riusciamo fare il collegamento mentale.

Ebbene, ci portano a farlo i missionari che in questi giorni hanno lanciato un appello affinché il “controesodo” che larga parte di popolazione del Sud sta tentando di fare dal Nord (dove era fuggita per cercare condizioni migliori) non sia ostacolato e – come succede a volte – impedito. La stessa povertà che ha spinto ad affrontare l’incertezza e i pericoli di una emigrazione dal Darfur, oggi impedisce di rientrarvi. E non solo per esprimere il voto ma per garantirsi protezione. E sì, perché è ovvio che al Nord “dispiaccia” perdere aree che promettono ricchezza, sacche di poveri da usare per lavori umili o addirittura come schiavi. Dunque, meno Sudanesi vanno alle urne, minore è il rischio che il referendum sancisca la separazione. Ma poiché separazione ci sarà (almeno così si esprimono le intenzioni di voto), i riconoscibili emigrati del Sud avranno ripercussioni sulle loro vite a Karthoum e in altre città del nord. Per questo hanno affrontato, stanno affrontando, trasferimenti su camion stracarichi, soste interminabili senza cibo e senza acqua. L’uso del termine esodo non è fuori luogo, perché se per noi occidentali significa vai e vieni dalle vacanze (anche quelle invernali ormai producono migrazioni di massa e code sulle autostrade), per i Sudanesi significa ancora andare alla ricerca della terra promessa, della terra dei loro padri. E sanno di dover attraversare un deserto e sfuggire ai nemici, ma anche questo si paga pur di vedere la libertà. 

Possiamo aiutare i missionari salesiani che da più di un mese condividono il deserto con i profughi portando loro acqua, coperte, medicinali, cibo e cercano di affittare i camion per il trasferimento dei cristiani sudanesi nel Sud Sudan.

Il versamento può essere fatto tramite

 c.c.p. n. 29 166 105

intestato al Servizio Diocesano Terzo Mondo

causale: pro-Sudan.

Non stiamo solo a guardare!

http://www.youtube.com/watch?v=DddjB2UlxVk

 I missionari salesiani in Sudan ringraziano.

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